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 Ecumenici

04 Marzo, 2005
Newsletter Anno VII, numero 9
Il pungolo degli Ecumenici - Eutanasia e suicidio assistito nel concetto dell'Îslâm e del Sufismo

 Gruppo 15  
 In breve
 
Approfittando sia dell’imminenza del Natale, sia dello sciopero della carta stampata, il sindaco di Roma Walter Veltroni ha intitolato con una cerimonia la STAZIONE TERMINI a Giovanni Paolo II.

Per concordare le azioni di protesta contro questo colpo di mano le associazioni laiche si riuniranno domani, 27 dicembre, in via delle Carrozze, 19, alle ore 16.00, presso la fondazione Critica liberale.

 

Enzo Marzo per Critica liberale

Mirella Sartori per www.italialaica.it

Nico Sferragatta per Società laica e plurale

 

La newsletter Ecumenici estende l'invito ai propri lettori e alle lettrici residenti in Roma per partecipare all'assemblea, esprimendo il proprio punto di vista, proposte e suggerimenti.



Ecumenici

Leonhard Ragaz 

 

Comitato per il sostegno finanziario 2007: partecipa con un contributo volontario alle nostre necessità compilando un bollettino di conto corrente postale a favore di Maurizio Benazzi, Via A. Vespucci, 72 – 20025 Legnano MI, con causale Ecumenici,  c.c.p. nr. 30592190. E’ anche possibile effettuare un bonifico bancario sullo stesso conto, con la stessa intestazione e causale,  indicando le seguenti coordinate:  codice ABI 07601, CAB 01600 CIN K.

La redazione giudaica è a Padova ed è diretta da Roberto Pavan (per info e contatti etzcahol@virgilio.it ). 

 

 

Anno VII°, numero 9. 

Nuovo archivio su:  http://www.welfarelombardia.it/wmview.php?ArtCat=37   

 

 

 Il pungolo di Ecumenici 

 

La redazione ha ricevuto un recente comunicato da parte di un ufficio stampa volontario valdese; ne riportiamo alcuni stralci significativi oggetto della ns. contestazione specifica sulle “veglie”  ( per la morte  pare ). Il grassetto non è frutto di un nostro intervento sul formato del carattere:

 

(…) Come moderatora della Tavola valdese e come cittadina italiana, oggi mi sento ancora più impegnata, nella mia chiesa e nella società italiana, a promuovere un dibattito etico, culturale e politico sul testamento biologico. Al tempo stesso questa tristissima vicenda ci dice quanto sia importante riaffermare il carattere laico dello Stato; uno Stato che approva le sue leggi nell’interesse generale dei suoi cittadini e non dei vertici di una particolare confessione religiosa".

E ancora prima, nel periodo di lotta e speranza di Welby, e durante le veglie promosse dall’associazione Luca Coscioni a cui la Tavola Valdese aveva dato la sua adesione: “Piergiorgio Welby è un uomo che, con grande dignità e coraggio, ha chiesto di staccare la spina delle macchine che lo mantenevano in vita. Noi valdesi, in quanto cristiani evangelici, crediamo fermamente che la vita sia un dono prezioso di Dio. Ma la vita non è pura funzione biologica. L’accanimento terapeutico, ancor di più quando in contrasto con la volontà del malato, viola la sua dignità e aggrava le sofferenze fisiche e psicologiche. Esaltando la capacità tecnica, celebra l’onnipotenza umana che nulla ha a che fare con l’amore e la compassione di Dio per le sue creature. E l’amore non impone sofferenza né costringe ad una artificiosa sopravvivenza.”

 

La newsletter sulla vicenda di Piergiorgio Welby cessa  oggi  il suo silenzio e si dissocia pubblicamente in primis dalle dure decisioni pastorali del Vicariato cattolico romano, che di fatto non rimettono all’Eterno ma ad una locale chiesa il giudizio sulla persona,  negando   l'ordinario  rito cristiano di accompagnamento religioso, utile tra l'altro all’elaborazione del lutto  per i  suoi cari; personalmente mi dissocio nello specifico anche dalle iniziative intraprese dalla Tavola Valdese e dalla Moderatora sulle veglie organizzate da un partito: ricordiamo infatti ai riformati che Calvino contestò vivacemente la teoria cattolica del sonno dei defunti e si espresse in modo quanto mai  efficace per la  sopravvivenza dello spirito  alla morte fisica del credente ,  in una maniera  del tutto attiva e fuori da concezioni materialistiche  oggi imperanti . Rimase purtroppo influenzato dalla filosofia greca (parlava infatti allora di anima e non  proprio di spirito) la sua formula teologica , sintesi di concetti biblici, non incluse  ovviamente alcuna forma di eutanasia,  esplicita o mascherata, in quanto l’essere umano è destinato solo da Dio (e non dal libero arbitrio  umano) alla resurrezione eterna per il Regno In ogni caso le veglie i cristiani - da 2000 anni circa - le fanno per la nascita di un bambino ebreo o in difesa della sopravvivenza di altri esseri umani, indipendentemente dal credo religioso di appartenenza o altre questioni di cultura, razza, lingua, sesso e orientamento sessuale,.... 

Ho   francamente  comunque  serie difficoltà a comprendere  anche  se la posizione ufficiale UCEI è sostanzialmente quella espressa dalla signora Elena Loewenthal  riportata sul sito stesso delle comunità ebraiche. Non capiamo oggettivamente ove siano i riferimenti biblici delle argomentazioni elaborate . Qualche ebreo non riformato ossia la quasi totalità degli ebrei in Italia (praticamente  l’opposto di quello che capita nel resto del mondo) può per favore spiegarceli? O forse si chiede troppo?

In ogni caso la newsletter cessa per il 2007  di  fare pubblicità gratuita per l’otto per mille  in favore della  chiesa valdese e chiede alle persone con incarichi politici di adoperarsi per  incoraggiare  da subito un maggior impegno finanziario pubblico e privato per la ricerca scientifica, le strutture ospedaliere e gli ospices. Non per favorire l’onnipotenza umana e l’esaltazione della tecnica, ma per salvare vite umane in futuro. Chiediamo soprattutto leggi di solidarietà per le persone con differentementi abilità .   Costi quel che costi, anche in termine di gradimento della Confindustria, del  bilancio del Ministero della Pubblica Istruzione o  delle Amministrazioni locali, dei partiti,…

Suggeriamo in ogni caso ai parlamentari, qualora non si trovassero fondi statali per questo scopo e in considerazione dell’alto valore etico delle decisioni da prendere, di ricorrere come estrema risorsa anche al taglio di quelli destinati all’otto per mille. Le chiese cristiane e l’Ucei sapranno certamente mostrare pubblicamente comprensione e disponibilità.

Presumo – in conclusione di intervento - che se la Tavola valdese facesse oggi un referendum sul proprio sito ecclesiastico, circa il sostegno della base alle proprie posizioni assunte  recentemente,  la maggioranza degli evangelici (conservatori e progressisti senza alcuna distinzione) reclamerebbe a gran voce le dimissioni degli attuali dirigenti. Immagino altresì che questo referendum telematico non si farà mai: lasciamo ai lettori e alle lettrici la ricerca delle  motivazioni.   

Iniziamo  -  con questo numero  -  la tavola rotonda sul tema dell’eutanasia con un contributo del prof. Gabriel Mandel, recentemente premiato dalle Scuole di Fetüllah Gülen col "Il Sigillo del Profeta"; riconoscimento attribuitogli per gli alti meriti nel campo della Teologia islamica.   

Il dibattito è aperto. 

 

Buona lettura

 

Maurizio Benazzi 

 

 

 

 

 

Eutanasia e suicidio assistito nel concetto dell'Îslâm e del Sufismo

 

Oggi non sono qui nella mia qualità di medico o di psicoterapeuta. Sono qui come sufi (i sufi sono i mistici dell’Îslâm, organizzati in Confraternite, o Ordini, a un dipresso come i frati e le suore nella religione cattolica); e sono qui per esporre la posizione della religione islamica sul tema di questo Convegno. Le culture infatti sono complessi polimorfi, in cui la religione è spesso elemento imprescindibile

Veniamo dunque al tema. Ritardare la morte? Anticipare la morte? Le sofferenze giustificano il suicidio o l’eutanasia?

La religione islamica (come le altre religioni monoteiste) risponde NO. Perché la religione ha un concetto della morte e della sofferenza che non è quello del materialista.

Atteso che la scienza non è una religione, in generale dobbiamo ammettere che nella scienza non v’è una cultura della morte. Se ne è perduto il senso escatologico. Inoltre, nel mondo attuale - non parlo del mondo scientifico, naturalmente -, al libero arbitrio (per noi sufi dono divino) si è sostituita l’arbitrarietà. Il desiderio dei beni materiali ha sovvertito l’etica che dovrebbe essere la scorta di ogni azione umana: essa chiede che ognuno agisca in perfetta armonia con la propria coscienza, purché abbia consapevolezza esatta di ciò che noi siamo. Il Sufismo dice: «Chi conosce se stesso conosce Dio, e chi conosce Dio conosce se stesso.»

Ciò non pone la scienza e i suoi progressi in antitesi con la religione e in particolare con la parte più autentica e libera della religione: il misticismo. Tuttavia un coltello può essere usato per tagliare il pane o invece per uccidere: la Scienza non può giustificare ogni impiego delle sue conoscenze: occorre il sale del discernimento.

D’altra parte proprio quando l’Europa era ancora avvolta nelle tenebre dell’alto medioevo l’Îslâm le portò Avicenna, âlBitruji, Razî, il concetto della sfericità della terra, i numeri, l’algebra, la botanica, la chimica, e altro ancora. Dice il Profeta Maometto: «Seguite la via di una scienza, doveste per questo andare fino in Cina.» E ancora: «A chi segue la via di una scienza Dio apre più grandi le porte del Paradiso.» E ancora: «Il sangue di coloro che hanno studiato è superiore al sangue dei martiri.» Quindi per l'Îslâm anche la Medicina (e ciò è dimostrato da tutta la sua storia) ha l'obbligo di continuare nella ricerca migliorando sempre più i suoi metodi.

Ma nel Corano leggiamo anche (3ª145): Ognuno muore, nel momento fissato, col permesso di Dio. E ancora (3ª156): E’ Dio che dà la vita e la morte (concetto sul quale il Corano insiste a lungo, 7ª158, et passim). Infine ogni buon musulmano recita il versetto 6ª162: Di': «Certo la mia preghiera, i miei atti di devozione, la mia vita e la mia morte sono di Dio, Signore dei mondi.

Per l'Islam infatti due sono i peccati che non trovano il perdono di Dio: l'idolatria  e il suicidio consapevolmente voluto (ossia non determinato da una devianza psichica che impedisca il corretto ragionamento e la piena consapevolezza).  L'idolatria può trovare remissione se il peccatore si pente e torna sinceramente pentito a Dio. Quanto al suicidio il Corano è rigoroso (ad esempio in 56ª60: La morte di ognuno di voi l’abbiamo predeterminata Noi, e Noi non dobbiamo essere anticipati); il suicidio non è remissibile, salvo che la morte non sia immediata e il suicida in tal caso abbia il tempo di pentirsi sinceramente. Dio sa!

Certo, sembra a volte che l'estrema sofferenza , sia essa fisica oppure psichica, possa giustificare almeno in parte il suicidio o l'eutanasia. Per la religione islamica il dolore fornisce la misura della nostra condizione umana, ma non serve di per sé a redimere la condizione umana. Il dolore fisico è utile per comunicarci lo stato di una malattia; il dolore psichico è utile per temprare lo spirito; affrontandoli consapevolmente potremmo migliorare la nostra visione della vita, soprattutto dal punto di vista etico-spirituale. Il Corano afferma (3ª185; 21ª35; 29ª57): Ogni anima sperimenterà la morte; siamo costretti a sperimentare anche il dolore, sia fisico sia psichico, così come siamo incentivati a sopportare il digiuno nel mese di Ramadhan. La medicina islamica ha insegnato lungo i secoli molti metodi per alleviare il dolore, sia fisico sia psichico: il Corano dice (6ª80; 2ª255): Dio detiene tutta la scienza. E della Sua scienza essi abbracciano solo ciò che Egli vuole. Il bene che ci viene dalla scienza ci è concesso dunque da Dio; siamo liberi sia di ricercarlo istruendoci, sia di applicarlo convenientemente: la scelta giusta sta a noi.

Entro i limiti di un giusto equilibrio, quindi. Gli eccessi dell’accanimento terapeutico, l’eutanasia, o il suicidio non son dovuti forse a paura, a presunzione e ad orgoglio? Disse il maestro sufi Jâmî (1414-1492): «E' più facile svellere una montagna con la punta di uno spillo che strappare l'orgoglio dal cuore del presuntuoso.» D’altronde anche il Corano dice, in 12ª76: Al di sopra di ogni uomo che possiede la scienza ce n’è uno più istruito di lui.

* * *

L’evento malattia, con i concetti conseguenti di lesione, di dolore, e con la corrispondente paura di perdita della vita terrena, può essere uno squilibrio di per sé, ma non per quell’essere umano che realmente conosce se stesso, e che è giunto a conoscere se stesso attraverso la consapevolezza.

Conoscere compiutamente se stesso significa avere una visione non solo limitatamente accademica, non solo limitatamente materialistica. Si tratta di rispettare la “gerarchia della creazione”, la collocazione temporale, e saper leggere i segni della natura, principio base dei segni di Dio; ma soprattutto giungere a quella conquista possibile per la nostra condizione umana e per la nostra sete di perfezionamento: l’equilibrio. Infatti l’intero universo fenomenico, infinito essendo infinito il suo Creatore, sottostà alle leggi del ritmo e della simmetria; dunque la consapevolezza completa del sé, la padronanza dell’equilibrio con la conoscenza del ritmo e della simmetria ci potranno porre in quello stato ottimale di “salute”, transitorio, e riequilibrabile ad ogni istante del nostro viaggio dalla nascita alla morte.

Vediamo allora, per una maggior chiarezza sulle modalità di comprensione e di accettazione della morte alcuni passi di maestri sufi che inducono a escludere per ragioni ideali ed etiche l'eutanasia, il suicidio, l'accanimento terapeutico.

Sanâ`î nell’XI secolo affermava: «L'empietà e la fede corrono entrambe sul cammino di Dio. Ma la fede ci fa accettare il dolore e la morte, l'empietà fa di tutto per allontanarli.»

Il grande matematico, medico e poeta Omar Khayyam (1048-1131) scrisse una delle sue bellissime quartine:

La distanza che separa l'incredulità dalla fede è un soffio;

quella che separa il dubbio dalla certezza è del pari un soffio;

passiamo dunque serenamente questo prezioso spazio di un soffio

perché anche la nostra vita è separata dalla morte da un soffio.

Abû Hamid âlGhazalî (1058-1111), grande maestro sufi ed eminente filosofo islamico disse: «La malattia è una delle forme di esperienza tramite le quali gli uomini giungono alla consapevolezza di Dio. Dio stesso, infatti, ci dice: Tutte le malattie sono i Miei assistenti che Io dispenso ai Miei amici prescelti. Ed allora accettiamo la malattia perché forse è benedizione, e di certo insegnamento proficuo»

Muhammad Iqbal (1877-1938): «In verità, i processi religiosi e i processi scientifici, anche se applicano metodi differenti, sono identici nello scopo finale. Entrambi si propongono di raggiungere la realtà. In effetti la religione è ancor più desiderosa di raggiungere la realtà ultima di quanto non lo sia la scienza. Per entrambe la via verso l'obiettività pura passa per quel che si può definire "la purificazione dell'esperienza".

Sono comunque punti fermi il concetto che origina da un detto del Profeta Maometto per il quale «se una parte del corpo è colpita da una malattia, tutte le altre parti del corpo sono mobilitate a venire in sua difesa.» Per la medicina prettamente islamica, che tiene conto di una realtà olistica corpo-spirito, nei riguardi del paziente (e in particolare quindi del paziente terminale) sussiste il dovere di mantenimento dell'idratazione, della nutrizione, della cura e della limitazione del dolore; con esclusione formale degli interventi inutili, soprattutto se invasivi e dolorosi. Sono ammesse le cure palliative solo ove possibile. Per la legge islamica un essere umano dispone di sé esclusivamente se è libero, pubere, sano di corpo e di mente e di vita incensurabile. Solo il pieno possesso di questi requisiti conferisce una piena capacità giuridica. Ciò quindi limita molte possibilità di disposizioni autonome da parte del malato terminale; mentre sussiste per contro la beneficialità", ossia la responsabilità della famiglia di cui il malato terminale è membro. Ecco quindi ulteriori ragioni per cui nell'Îslâm vigono alcune restrizioni al cosiddetto paternalismo medico, al trapianto-espianto generalizzati, e in generale ad un atteggiamento protettivo che non sia giustificato da una adeguata e ben stabilita cultura scientifica e religiosa.

Naturalmente tutto ciò ha dato origine ad un'ampia casistica legale e medica. Le attuali Scuole di Giurisprudenza e Mediche del mondo islamico studiano e trattano collegialmente i vari temi specifici, ed emanano disposizioni globali con valore attuale ma nel pieno rispetto dei valori religiosi, etici, umani.                             

            Rimane il fatto che saper morire e saper lasciar morire sono realtà che occorre imparare, altrimenti ne derivano due grandi disconferme: non si dice ai malati che cosa hanno, non si dice loro che cosa possono fare. In definitiva i Sufi misero a punto mille anni or sono un “protocollo della Morte” semplice e pratico, che ora vi espongo e che a me sembra esemplificare compiutamente l’argomento odierno.

In linea di massima, molti di coloro che stanno per morire passano attraverso vari stadi:

RIFIUTO - Perché io? (Non sono pronto! Non è giusto!).

RABBIA - Soprattutto in ospedale tutto sembra valido e utilizzabile per esprimere la rabbia.

Di conseguenza:

CONTRATTAZIONE -  «Sarò buono (se mi lasci andare a casa).»

DEPRESSIONE - «E’ immondo quello che sto vivendo (Ho vergogna della morte).» E' il momento in cui si cerca di assumere misure eroiche.

Il passo successivo è l'ACCETTAZIONE, ossia la concessione di "Permessi" (in particolare il permesso ai sopravviventi di vivere senza sensi di colpa; senza paura).

Va tenuto presente che chi sta morendo ha gli stessi bisogni dei momenti ordinari: senso di dignità, valore come individuo, rispetto di sé.

Ne consegue la necessità di: 1) Comunicazioni dirette; 2) Protezione attorno al corpo; 3) Senso di sicurezza; 4) Informazioni giuste e dirette (NON assicurazioni  false, bensì: tutte le assicurazioni su cose effettivamente possibili).

E' un processo adulto imparare a dare qualche tipo di speranza in modo attendibile al malato; è un processo adulto aiutare con intelligenza a morire il malato condannato. Non dirgli: «Sii forte!» Egli ha il diritto di essere umano, e quindi triste o spaventato e così via.

Occorre capire che cosa fare o dire prima che la persona muoia, per non sentirsi poi in colpa; e soprattutto: "Decidere come dirgli addio".

Concludo allora dal punto di partenza, dal testo che per l'Îslâm è parola di Dio, ed al quale tutto ciò che è musulmano si rifà. Concludo cioè con alcuni versetti del Corano, fra i molti che parlano della Morte:

Dio dà la vita e la morte (3ª156.)

Ogni anima sperimenterà la morte (3ª185; 21ª35 29ª57.)

Di': «Certo la mia preghiera, i miei atti di devozione, la mia vita e la mia morte sono di Dio, Signore dei mondi (6ª162.)

Egli da la vita, Egli da la morte (7ª158, et passim.)

Ma se avremo ben operato, dopo la morte Dio ci dirà: Entrate nel Paradiso. Vi sarete al riparo da ogni timore, e non sarete afflitti (7ª49), beninteso tenendo presente anche che - lo leggiamo nel Versetto coranico 2ª25-26 - il Paradiso lì descritto non è un luogo reale, bensì una parabola: il vero Paradiso consiste nel ritorno in Dio (Corano, 9ª72). Comunque il Corano dice, in 4ª40: Certo, Dio non lede, fosse solo per il peso di una nugella. Se vi è una buona azione, la moltiplica e accorda da parte Sua  una grande ricompensa.  

E in definitiva "solo Dio è Colui che sa". ÂlSalâm âleikum, wa ramatÂllâh wa barakatu.

prof dott Gabriel Mandel khân

vicario generale della Confraternita  dei Sufi Jarrahi-Halveti in Italia 

 


       


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