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04 Marzo, 2005
Perché non ci sarà mai pace in Palestina. di Gianfredo Ruggiero
La Palestina per duemila anni è stata il segno della concordia e della tolleranza tra le varie confessioni ed etnie.Segue nota della redazione.

Perché non ci sarà mai pace in Palestina. di Gianfredo Ruggiero

 La Palestina per duemila anni è stata il segno della concordia e della tolleranza tra le varie confessioni ed etnie (unica parentesi i turbolenti Regni Crociati del Medio Evo). Poi, nel 1947 a seguito di una semplice deliberazione dell'ONU a carattere consultivo, in spregio al diritto internazionale e al principio dell'autodeterminazione dei popoli (la popolazione non fu neppure interpellata con un referendum), le potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale decisero di donare metà della Palestina agli ebrei con il pretesto che questi erano originari di quei luoghi e come forma di risarcimento per aver subito la persecuzione hitleriana (in realtà per lavarsi la coscienza - a costo zero - per non aver fatto nulla per impedire, sia prima sia durante, la Shoah).

 

Gli ebrei, preso possesso di quelle terre, cacciarono con la forza chi le abitava da secoli: 900mila palestinesi videro occupate le loro case dai nuovi arrivati e 530 villaggi furono completamente distrutti per impedirne il ritorno e molti altri sostituiti con insediamenti per soli ebrei. Neppure i cimiteri, luoghi sacri per i musulmani, furono risparmiati.

 

Gli ebrei, forti dell'appoggio incondizionato degli  americani e, inizialmente, dei sovietici si abbandonarono a vere e proprie stragi e atti di puro terrorismo come il massacro del villaggio palestinese di Deir Yassin del 9 aprile 1948 ad opera del gruppo terrorista IRGUM (i cui leader politici erano Begin e Shamir) che causò la morte di 254 tra vecchi, donne e bambini (gli adulti erano intenti a lavorare nei campi distanti e quando si affrettarono a tornare la carneficina fu compiuta, stupri compresi) e  l'assassinio, avvenuto il 16 settembre dello stesso anno, del  mediatore delle Nazioni Unite, lo svedese Folke Bernadotte, per aver denunciato le violenze sioniste. L'omicidio fu rivendicato da un gruppo terrorista di cui facevano parte due futuri ministri israeliani, Yehoshua Cohen e Nathab Friedman (Antonella Ricciardi "Palestina, una terra a lungo promessa" controcorrente edizioni - Napoli, 2008). Anche da parte palestinese non mancarono atti di terrorismo a cui corrispondevano rappresaglie dure e indiscriminate.

 

Le successive guerre arabo-israeliane si conclusero con la netta sconfitta della coalizione araba, disorganizzata e male armata, e con l'occupazione di altre consistenti porzioni di territorio palestinese. 

 

Il nuovo Stato d'Israele si è subito caratterizzato in senso rigidamente razziale e confessionale essendo aperto ai soli ebrei osservanti. Una legge, quella definita "Del Ritorno", consente alle autorità religiose ortodosse di esercitare un controllo ferreo sui matrimoni ebraici (sono infatti vietati i matrimoni tra gli ebrei e i non ebrei, i  cosiddetti "gentili"), sui divorzi, sulle conversioni e sulle sepolture.

 

Ai palestinesi è negata qualunque possibilità di farvi parte. Lo stesso impedimento riguarda gli ex-ebrei, ossia persone che pur essendo di discendenza ebraica professano una religione diversa dal Giudaismo, anche a loro è impedito di stabilirsi in Israele. I pochi arabi che hanno potuto continuare a vivere in quella che una volta era la loro terra devono essere riconoscibili (le loro auto, ad esempio, hanno una targa diversa); è sì permesso loro di eleggere dei rappresentanti al Parlamento, ma in quanto piccola, innocua e assimilata minoranza.

 

Il concetto di società multietnica che tanto piace in Occidente e sbandierato anche in Italia come massima espressione di democrazia, libertà  e pluralismo in Israele non solo non è neppure contemplata, ma è addirittura vietata per legge. Una sentenza della Corte Suprema israeliana del 1989 stabilisce che alle elezioni sono esclusi partiti politici o persone che prevedano nel loro programma uno Stato multi-culturale o che mettano in discussione il principio dello Stato per Soli Ebrei (SSE). Un'altra politica per soli ebrei riguarda la proprietà terriera che è di tipo collettivistico: lo Stato possiede il 94% della terra e la tiene in "custodia" esclusivamente per gli ebrei.

 

Israele non ha una Costituzione e questo consente ai suoi tribunali di agire con libertà ed arbitrio nelle sentenze, soprattutto a carico dei non ebrei

 

Con queste caratteristiche definire Israele un "avamposto di democrazia in Medio Oriente" mi pare quanto meno azzardato.

 

Hamas è considerata dai politici occidentali una formazione terroristica: niente di più errato, Hamas è un partito politico estremamente radicato. Attraverso le sue strutture garantisce alla popolazione palestinese di Gaza, stremata da anni di embargo totale, assistenza e servizi sociali. Alle elezioni del gennaio 2006 - riconosciute da tutti gli osservatori internazionali come libere e democratiche - ha conquistato la maggioranza dei seggi. Da allora ha rivisto profondamente le sue posizioni fino ad accettare l'ipotesi di uno stato palestinese entro i confini del 1967. Sicuramente un gran passo avanti a cui ne potrebbero seguire altri se l'occidente la piantasse con l'ostracismo e iniziasse a colloquiare con l'unico vero rappresentate della popolazione palestinese di Gaza.

 

Quella che è in atto da sessant'anni in Palestina è una lotta tra due popoli per il diritto all'esistenza. La differenza è che mentre gli israeliani, armati dall'America, hanno uno dei più potenti eserciti del mondo con tanto d'armamenti nucleari che possono usare a loro piacimento, i palestinesi possono disporre solo di rudimentali razzi a breve gittata forniti dall'Iran (che fanno più scena che danni) e del proprio corpo. A ciò si aggiunge la diplomazia occidentale guidata dall'America che, con il suo atteggiamento giustificativo a favore d'Israele, non lavora certo per la pace.

 

Durante i sei mesi di tregua, rispettata da Hamas, Israele, contravvenendo agli accordi sottoscritti, non ha minimamente rallentato la morsa attorno a Gaza impedendo perfino il transito degli aiuti umanitari.

 

Circondata da mura alte 10 metri, controllata dal mare dalle navi da guerra e dal cielo dai satelliti spia a sostegno di un rigido embargo esteso anche ai prodotti di prima necessità, la striscia di Gaza è stata trasformata dagli israeliani nel più grande campo di concentramento che la storia ricordi. Sfido chiunque a resistere in quelle condizioni senza farsi saltare i nervi e vorrei vedere una qualsiasi persona assistere alla morte del proprio figlio per la mancanza di medicinali o vivere senza elettricità  e con l'acqua razionata (la prima cosa che gli israeliani hanno bombardato durante l'offensiva dello scorso anno sono state le centrali elettriche e i dissalatori, oltre alla centrale del latte), senza provare odio verso gli artefici di questa ingiustizia e meditare vendetta.

 

La verità è che Israele ha pianificato da mesi l'intervento militare, aspettava solo il pretesto. Tanto può contare sulla comprensione dei mass media occidentali, sull'appoggio incondizionato dell'America che la sprona a continuare e sulla la flebile protesta dei paesi arabi "moderati" (che di moderato hanno ben poco essendo delle monarchie assolute, più o nesto sarebbe definirli "filo occidentali").

 

Il fine ultimo d'Israele è quello di costringere i palestinesi ad abbandonare la loro terra per realizzare il sogno biblico della  "Grande Israele", come preconizzato dal fondatore del movimento sionista Theodor Herzl e confermato dal padre della Patria David Ben Gurion che in un discorso del 1937 dichiarò: «Noi dobbiamo espellere gli arabi e prenderci i loro posti». Ancora più esplicito è il leader israeliano Ariel Sharon che ad un convegno di militanti del suo partito dichiarò senza mezzi termini «non c'è sionismo, colonizzazione o Stato Ebraico senza lo sradicamento degli arabi e l'espropriazione delle loro terre» (France Press del 15 novembre 1998). Non a caso Israele è l'unico Paese al mondo che si rifiuta di definire formalmente i suoi confini. Il motivo è condensato in una famosa frase di Ben Gurion: «Dobbiamo costruire uno stato dinamico incline all'espansione».

 

Condanniamo pure gli attentati suicidi dei palestinesi, i razzi di Hamas e le bandiere bruciate in piazza dai manifestanti, ma se veramente amiamo la pace non possiamo sorvolare sulle responsabilità storiche e politiche dell'Occidente americanizzato.

 

Senza giustizia, umanità e verità storica non potrà mai esserci pace in quelle terre martoriate.

 

Gianfredo Ruggiero, presidente del Circolo Excalibur – Varese

 

Nota redazionale. Alcune affermazione molto crude dell’estensore dell’articolo fanno pensare che lo stesso autore abbia posizione preconcette  nei confronti degli ebrei. Ora la storia non torna mai indietro. Credo che oggi sia necessario riaffermare che in quelle terre vivono due popoli e che entrambi hanno diritto  a due stati sovrani.  E’ su questa linea che si deve muovere la comunità internazionale, è questo che dobbiamo rivendicare per condannare gli atti violenti di entrambe le parti in lotta. Chi sta soffrendo sono due popoli che da 60 anni non riescono  a vivere in pace e che mettono al mondo  figli con l’odio nel cuore. Grandi errori sono stati fatti da entrambe le parti. Si tratta ora di fermare questa guerra e di riprendere con pazienza una forte iniziativa politica. La verità non sta mai da una parte sola.

Red/gcst

7 gennaio 2008

 


       


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