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 Ecumenici

04 Marzo, 2005
Battisti e cattolici italiani verso il matrimonio interconfessionale
In ricordo di Fausto Concer

Battisti e cattolici italiani verso il matrimonio interconfessionale

Al vaglio di UCEBI e CEI il testo siglato lo scorso 5 ottobre dalla Commissione mista

Roma (NEV), 10 ottobre 2007 - Il documento sui matrimoni tra cattolici e battisti è stato siglato ed è pronto per essere sottoposto al vaglio delle Assemblee dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (UCEBI) e della Conferenza episcopale italiana (CEI). Il testo - intitolato "Documento comune per un indirizzo pastorale dei matrimoni tra cattolici e battisti" - è stato concepito come "concreto passo nel cammino ecumenico fra le chiese battiste e la chiesa cattolica in Italia, in un campo particolarmente delicato". E’ quanto si legge nel comunicato stampa congiunto dello scorso 5 ottobre, giorno in cui il documento è stato firmato dai due presidenti dell'apposita Commissione, il pastore battista Domenico Tomasetto e mons. Vincenzo Paglia. "Nel rispetto delle reciproche posizioni, il documento si propone di valorizzare il patrimonio comune di fede, di interpretare obiettivamente le divergenze, che soltanto la fede in Cristo e la grazia del Signore possono far superare, e di offrire indicazioni perché un matrimonio interconfessionale possa avvenire con la partecipazione e il riconoscimento delle due comunità di appartenenza" - recita il comunicato congiunto. L’auspicio più generale è che il documento sui matrimoni interconfessionali contribuisca a "incrementare la mutua comprensione fra la chiesa cattolica e le chiese battiste in Italia e a rinnovare il comune impegno per un più spedito cammino verso l’unità dei cristiani".

Il testo è suddiviso in quattro parti: le prime due, di natura teologica, vogliono sottolineare i punti di convergenza e quelli di divergenza nel modo di intendere il matrimonio tra le due confessioni. La terza parte è di natura pastorale e offre agli sposi, nonché ai ministri delle due comunità religiose, indicazioni e orientamenti circa la preparazione, la celebrazione e la pastorale dei matrimoni interconfessionali. L’ultima parte è dedicata agli aspetti pratici dei diversi momenti relativi alla preparazione, alla celebrazione e agli effetti del matrimonio interconfessionale. Un analogo documento esiste già tra la Tavola valdese e la CEI e fu firmato il 16 giugno 1996 da parte del card. Camillo Ruini, già presidente della CEI, di Gianni Rostan, già moderatore della Tavola valdese, e del pastore Valdo Benecchi, già presidente dell’Opera per le chiese metodiste in Italia.

La Commissione cattolico-battista che ha elaborato il nuovo testo era composta per l’UCEBI dai pastori Domenico Tomasetto, Massimo Aprile, Lidia Maggi, Martin Ibarra y Perez e Franco Scaramuccia; per la CEI da mons. Vincenzo Paglia, mons. Domenico Falco, prof. Giorgio Feliciani, don Angelo Maffeis, mons. Mauro Rivella. A conclusione dei lavori, iniziati il 12 maggio 2006, i membri della commissione hanno ritenuto che questo documento possa aprire ora la via a ulteriori sviluppi e costituisca una sfida e una promessa per il dialogo ecumenico.

In esclusiva per Ecumenici:

Commento del Presidente della commissione battista per i matrimoni interconfessionali con la CEI

Il testo del Comunicato stampa congiunto CEI/UCEBI ha già detto alcune cose che ritengo di estrema rilevanza sul lavoro che ha portato a siglare il “Documento comune per un indirizzo pastorale dei matrimoni tra cattolici e battisti in Italia” (questo il titolo ufficiale). Si tratta, come facilmente si intende, di matrimoni interconfessionali fra cristiani appartenenti a due confessioni cristiane diverse, e non fra un battezzato e un non-battezzato.

Non posso che confermare lo spirito che ha animato tutti i lavori, caratterizzato da una profonda fraternità, che ha permesso di lavorare spedidamente e senza pregiudizi, paura e riserve mentali. Il fatto che i componenti delle due commissioni si conoscevano per precedenti incontri ha di certo facilitato ancor più il compito che ci era stato assegnato dai rispettivi organi ecclesiastici.

Il Documento mette in risalto sia le convergenze di fondo sul tema del matrimonio, sia le divergenze che animano le due Chiese: ma per tutto il periodo di lavoro c’è stato un clima di serenità e di reciproca fiducia che ci ha permesso di lavorare al meglio, con celerità e con attenzione alle rispettive posizioni teologiche, ecclesiologiche e talvolta, giuridiche. Il fatto che in Italia era già stata raggiunto un accordo simile fra la CEI e la Tavola Valdese, quindi con le Chiese valdesi e metodiste, e che questo testo ha costituito un punto di riferimento importante, il nostro Documento se ne differenzia in alcune parti, che sono state ripensate interamente (vedi per esempio il battesimo dei credenti adulti che si pratica nelle Chiese battiste e il battesimo dei bambini che si pratica nella Chiesa cattolica...).

Possiamo dire con piena coscienza che il lavoro fatto non riprende come in fotocopia il precedente testo dell’accordo con la Tavola valdese, ma rielabora molte sue parti, riassume in un documento unico quello che in precedenza era diviso fra due documenti diversi, con il risultato, almeno per noi che l’abbiamo prodotto, di avere un testo molto organico e comprensivo di tutti gli aspetti collegati al tema del matrimonio.

Ritengo, insieme a tutti i componenti delle due Commissioni, che si tratti di un segno di grande importanza nel cammino ecumenico che le nostre Chiese stanno sviluppando in Italia, speranza per molti che hanno la visione dell’unità dei cristiani, che pur già presente nel nome di Gesù Cristo, aspetta la realizzazione storica più concreta. Molto spesso i grandi sogni viaggiano su piccoli ma sicuri passi che incidono nella vita quotidiana dei singoli credenti.

Domenico Tomasetto

*****

Ecumenici
Anno VIII nr° 6

Si ringrazia sentitamente Giorgio Saglietti dell’ufficio segreteria e contabilità di Tempi di Fraternità per il rinnovo della donazione. Ricordiamo che per ricevere gratuitamente due numeri saggio della rivista TDF, è necessario completare il modulo di richiesta su http://www.tempidifraternita.it/abbonamenti/form_abbonamento.htm . Per avere invece il sommario delle info scrivere a giorgio.saglietti@libero.it

Acqua uguale per tutti

Chi desidera materiale di approfondimento o aggiornamenti su questa tematica scriva una e.mail a Enzo Arighi attacchighi@tiscali.it

Fra gli oltre 20.000 visitatori del nostro sito sabotato si ringrazia in particolare il Console onorario d’Italia di Kalingrado (Federazione Russa) per il messaggio di apprezzamento inviatoci lunedì a seguito del materiale di studio inoltrato su Gaismar e la riforma popolare in Tirolo (possiamo inviare il dossier a chi ne fa semplice richiesta) ; si ringrazia anche Giorgio Masili di Padova per il sostegno convinto nelle sue Mailing List a questa newsletter.

Alla Facoltà Valdese di Teologia saranno donati due preziosi testi per studenti con merito di profitto : se un iscritto di Milano desidera consegnarli personalmente a Roma è invitato a mettersi in contatto, prima dell’inizio del nuovo anno accademico. Grazie.

Il canto « Signore stai con me » per gli ergastolani

Al 08 ottobre, i detenuti ergastolani che aderiscono allo sciopero della fame dal 1° dicembre 2007 a sostegno dell'abolizione dell'ergastolo sono 649, le adesioni di detenuti non ergastolani, familiari, amici, semplici cittadini, ecc. sono 2.986!

Un ringraziamento al Coordinamento Teologhe Italiane (http://www.teologhe.org) Newsletter – CTI per la pubblicazione di uno stralcio della nostra corrispondenza e un gigantesco grazie a Paolo e alla Comunità di Viottoli per il loro grande interessamento all’iniziativa. Di più di così non potevate proprio fare…

“… Solidarietà anche da parte mia nei tuoi confronti, per la lodevole iniziativa di cui ti sei fatto portavoce

Giorgio Asti”, (ex) Vice-Sovrintendente della Polizia postale

Canto per gli ergastolani in sostegno alla campagna “Mai dire mai” di www.informacarcere.it in favore dell’abrogazione dell’ergastolo

Sta con me, Signor, kumba ya, sta con me, Signor, Kumba ya
Sta con me, Signor, kumba ya, Signore, sta con me.
C'è chi soffre, Signor, kumba ya, c'è chi soffre, Signor, Kumba ya
C'è chi soffre, Signor, kumba ya, Signore, sta con me.
C'è chi piange, Signor, kumba ya, c'è chi piange, Signor, Kumba ya
C'è chi piange, Signor, kumba ya, Signore, sta con me.
C'è chi prega, Signor, kumba ya, c'è chi prega, Signor, Kumba ya
C'è chi prega, Signor, kumba ya, Signore, sta con me.
C'è chi canta, Signor, kumba ya, C'è chi canta, Signor, Kumba ya
C'è chi canta, Signor, kumba ya, Signore, sta con me.
C'è chi spera, Signor, kumba ya, c'è chi spera, Signor, Kumba ya
C'è chi spera, Signor, kumba ya, Signore, sta con me.

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martin luther king

Segnalazioni

Convegno internazionale Martin Luther King: "I have a dream"

Dall'incubo può (ri)nascere il sogno. Storia di un movimento - Attualità di un messaggio http://www.martinlutherking.ucebi.it/content/contentindex.php?var=convegno

Inizio manifestazioni con musica, testimonianze e predicazione il 31 ottobre 2007 - Ore 19.30 - Chiesa Valdese di Piazza Cavour – Roma

1 novembre 2007 - Centro Convegni "Il Carmelo " - Ciampino (Roma) – Inizio dei lavori con un culto alle ore 9

2 novembre 2007 - Sala Protomoteca al Campidoglio – Roma – Inizio dei lavori alle ore 10

“Spesso gli uomini si odiano perché hanno paura l’uno dell’altro; hanno paura l’uno dell’altro perché non si conoscono; non si conoscono perché non possono comunicare; non possono comunicare perché sono separati.”

Martin Luther King

Sabato 13 ottobre 2007 - Sala Curò, Piazza Cittadella - Bergamo Alta

Zwingli

IL FUTURO DEL CRISTIANESIMO, IL FUTURO DELLA POLIS

Convegno teologico

Fra i partecipanti professori del seminario vescovile, della Facoltà Valdese di teologia, della chiesa riformata francese e dell’Università di Ferrara. Il programma è esposto su http://www.protestanti.bergamo.it/pagina.asp?lang=it&rif=1&pag=54

Pinerolo (TO), 13-14 ottobre 2007

Tre Donne di Tahiti su sfondo giallo

IL DIVINO: ATTRAVERSARE IL PRESENTE, OSARE IL FUTURO

Relazioni, pratiche e saperi delle donne

XVI incontro nazionale dei Gruppi donne delle comunità cristiane di base in collaborazione con Il cerchio della luna piena, Donne in cerchio, Thea - teologia al femminile

http://www.cdbitalia.it/news%20D_24.htm con la collaborazione della REGIONE PIEMONTE - COMMISSIONE REGIONALE PARI OPPORTUNITA'

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In ricordo di Fausto

Fausto Concer, un nostro lettore di Bolzano e migliore penna di Ecumenici, è morto questa estate: ci consegnò due scritti sulla sua condizione personale. Uno particolarmente crudo che non ci autorizzò alla diffusione e quello che segue che fu diffuso anche dalla stampa giapponese. Lo rileggiamo per ricordare l’amico. E’ questo anche un modo per capire le diverse abilità e il grido di dolore della sofferenza che si trasforma in coraggio d’esistere, ove il prezzo pagato è altissimo. Anche per i suoi cari.

Gli scritti in nostro possesso, anche inediti, sono molti: chi li desidera può scrivere in redazione ecumenici@tiscali.it per l’inoltro. Segue un articolo postatoci da Sandro (fast) che consente di continuare il discorso sulle manipolazioni neotestamentarie. Il “Gesù non lo ha mai detto” rappresenta infatti un po’ il filo rosso dell’ultima conversazione serale a Bolzano con il comunista che seguiva Ecumenici. Un filosofo lontano dai palazzi di potere e vicino al cuore delle persone. Per strada veniva abbracciato da immigrati, da tedeschi e italiani. Poco importa quale passaporto avessero. Anche Gesù non chiedeva documenti d’identità ai suoi interlocutori romani, ebrei o nomadi.

Ciao Fausto. Ancora baci.

Caro Maurizio,

tempo fa mi avevi chiesto di raccontarti della mia vita e del mio handicap, ma io non ho mai avuto il tempo di farlo. Di recente da parte di un ricercatore giapponese mi è stato chiesto di scrivere una relazione su scuola e handicap, sull’integrazione dei disabili nelle scuole, poiché lì da loro esistono ancora le scuole speciali (orrore!). Io, poiché sono partito dalla mia esperienza, spedisco il mio scritto anche a te.

Ciao

Fausto

Mi chiamo Fausto Concer, sono nato in Italia, a Bolzano, 32 anni fa, ho frequentato le scuole dell’obbligo (elementare e media), successivamente il Liceo Classico nella mia città natale, dove mi sono diplomato. Ora sono laureando in Filosofia all’Università di Bologna.

La peculiarità della mia storia scolastica, comune a moltissimi ragazzi italiani e sicuramente anche giapponesi, risiede nel fatto che sono un disabile fisico al 100%, in sedia a rotelle sin dall’ età di quattordici anni, ma con scarsissime possibilità di movimento sin da bambino, a causa di una malattia genetica. Il mio handicap, tuttavia, non ha costituito un particolare ostacolo nel mio iter scolastico; ho sempre frequentato scuole “normali”, ovvero con bambine e bambini, ragazze e ragazzi di tutti i tipi, senza mai essere confinato o ghettizzato nelle cosiddette “scuole speciali” (Besonders Schule, come vengono chiamate in Germania). Le “scuole speciali”, dove ancora in molti paesi del mondo vengono in maniera discriminatoria messi studentesse e studenti disabili, in Italia sono state abolite già da gli anni ‘70.

Non è dei miei risultati scolastici che intendo parlare, comunque sempre più che soddisfacenti, ma di come, nella mia esperienza, problemi oggettivi inerenti la disabilità (parlerò esclusivamente di disabilità motoria; non mi riferisco a problemi d'apprendimento) possano essere affrontati e superati brillantemente; di come le strutture scolastiche si possano adeguare; di come possano essere utilizzati personale e presidi, in grado di mettere anche le persone con disabilità nella condizione di studiare e svolgere il proprio lavoro come tutte le altre cosiddette “sane”, di apprendere e di svilupparsi intellettualmente e culturalmente al meglio.

Già dalla scuola elementare ho avuto a disposizione delle persone, gli “assistenti”, che mi aiutavano negli spostamenti, nel compiere determinate operazioni per me faticose — al tempo ancora camminavo, ma in malo modo e lentamente; la mia forza era già molto limitata — quali portare la cartella, muovere determinati oggetti, scrivere per un lungo periodo ... Devo dire che in questo primo ciclo di studi, che in Italia dura cinque anni, un ruolo fondamentale lo ha avuto la mia maestra di classe, la quale non solo non mi ha mai fatto pesare le mie innegabili difficoltà fisiche, ma mi ha sempre aiutato ad affrontarle e a superarle; ha fatto in modo che si creasse il miglior rapporto possibile con gli altri bambini e con le altre bambine, insomma è stata un sostegno fondamentale, come ogni buon insegnante, soprattutto in questi casi particolari, dovrebbe essere. Non favorendomi e non compatendomi mai, ha fatto in modo che non subissi quella discriminazione al contrario, in cui si rischia di cadere con atteggiamenti iperprotettivi; discriminazione che determina, anche in questo caso, un grado di separazione forte (e ingiusto) tra la persona disabile e gli altri componenti la classe, e fa in modo di non permettere mai una reale integrazione. Sin dalle prime classi delle elementari ho avvertito una difficoltà ed una fatica abbastanza grandi e via via crescenti nello scrivere. Per ovviare a questo problema e mettermi nelle condizioni di stare al passo con il resto della classe, oltre a farmi scrivere parte degli appunti e dei compiti dai miei compagni (peraltro sempre molto disponibili), sono stato avviato, da subito, all'uso della macchina da scrivere (il computer ancora non era utilizzato). A questo scopo mi è stata messa a disposizione un’insegnante che mi addestrasse e alcune ore della settimana erano dedicate a questo lavoro. Un altro elemento fondamentale per la mia completa integrazione nella scuola elementare è stata il poter svolgere tutte le attività, anche quelle ludiche e ricreative, assieme ai miei compagni di classe. Per esempio le gite scolastiche, durante le quali ero accompagnato spesso da mia madre e, soprattutto negli ultimi anni, quando le difficoltà andavano aumentando, da assistenti che m'aiutavano ad adempiere alle mie necessità.

Dopo la scuola elementare, come detto, ho frequentato tre anni di scuole medie. Qui le difficoltà sono state maggiori: innanzitutto per l’aggravamento progressivo della mia malattia che in terza media, tra i 13 e i 14 anni, ha determinato la mia totale impossibilità di camminare e quindi mi ha costretto a far uso della sedia a rotelle, poi perché l'adolescenza, come ben si sa, è un'età molto difficile, ed i problemi e i turbamenti psicologici sono assai acuti. L'adolescenza è un'età difficile per tutti; lo può essere ancor di più per una persona in situazione di handicap. Anche in quest’ordine di scuola mi sono state fornite delle assistenti, che oltre che di me si occupavano di altri ragazzini con problemi (a volte anche più gravi dei miei, trattandosi di handicap mentali); inoltre, mi veniva a prendere e a riportare a casa un pulmino. A scuola le assistenti mi aiutavano negli spostamenti, soprattutto al di fuori della classe, ad esempio durante le gite scolastiche, ed insieme a loro proseguivo nell’apprendimento della dattilografia e dell’uso della macchina da scrivere, poiché nel frattempo la scuola mi aveva fornito di una macchina da scrivere elettrica. Oramai tutti i compiti in classe li svolgevo con questa. Mi era stato fornito inoltre un tavolo particolare, più spazioso e regolabile in altezza, che sostituiva il banco, ed una sedia più comoda per alzarmi e sedermi, questo sinché m'è stato possibile farlo autonomamente. Riguardo i problemi psicologici di cui accennavo prima, dati dall'età, dalla mia disabilità, e dal conseguente rapporto con gli altri componenti la classe, la mia famiglia aveva fatto in modo che venissi seguito da uno psicologo e che questi entrasse in contatto e collaborasse anche con i miei docenti. Pure gli esami di licenza media, che si affrontano allo scadere del terzo anno, li ho potuti affrontare con tutti gli ausili che mi erano stati messi a disposizione per tutto il percorso scolastico, così, ad esempio, il tema di italiano e quello di seconda lingua, tedesco, li ho scritti con la mia macchina da scrivere elettrica. Anche durante questa esperienza non ho usufruito, ovviamente e giustamente, di alcun tipo di favoritismo, ma i professori, chi più chi meno, hanno tenuto conto delle particolari esigenze che incontra una persona con disabilità (come, in realtà, bisognerebbe fare nei riguardi di ogni individuo, con disabilità o no) per cui, ad esempio, se facevo lunghi periodi d'assenza dovuti a problemi legati alla mia condizione, mi davano il tempo e il modo di recuperare.

I primi otto anni di scuola, dai 6 ai 14 anni, sono nella legislazione scolastica italiana “scuola dell'obbligo”, quindi non solo si è chiamati obbligatoriamente a frequentare le scuole elementari e le scuole medie, ma lo Stato deve mettere gli studenti nelle condizioni di farlo, rimuovendo gli ostacoli che impediscono o intralciano la normale attività. Tuttavia anche successivamente, nelle scuole chiamate superiori, lo Stato è chiamato ad eliminare ogni barriera che impedisca il corretto svolgimento delle medesime, che ostacoli l'accesso al sapere e alla cultura. Il diritto allo studio per tutti, indipendentemente dal sesso, dalle condizioni sociali, economiche, dalle convinzioni politiche, religiose e anche dalle condizioni fisiche è uno dei nostri diritti fondamentali. Così anche al liceo classico, la scuola superiore che avevo deciso di intraprendere, sono stato messo nelle condizioni di frequentare normalmente e con grande soddisfazione. Anche in questo caso la scuola, tramite l'intervento della Provincia, ha fatto in modo che avessi il mio assistente, il quale mi veniva prendere e mi riportava a casa (essendo la scuola molto vicina si andava e si tornava a piedi) e, come negli ordini di scuola precedenti, mi supportava e mi aiutava in tutte quelle incombenze fisiche che da solo non sarei stato in grado di svolgere. Poiché l'istituto presentava delle scale per accedervi, vennero costruiti due scivoli, in modo che potessi transitare con la sedia a rotelle ed arrivare in classe senza problemi. Anche al Liceo mi servii inizialmente di una macchina da scrivere elettronica, per svolgere i miei compiti in classe e a casa; successivamente questa venne sostituita da un computer, che imparai ad utilizzare con grande vantaggio, poiché potevo svolgere in maniera meno faticosa e più precisa numerose attività. Utilizzai il computer anche per eseguire gli scritti all'esame di maturità. Durante questi anni, assai formativi e ricchi da un punto di vista sia culturale sia umano, riuscii a compiere tutte le esperienze che riguardavano, od erano in qualche modo legate, la scuola. Particolarmente significative le gite scolastiche, anche in località straniere, anche per periodi relativamente lunghi, una settimana ad esempio. In questo caso al mio solito assistente veniva affiancato un altro operatore, così da permettere una gestione meno faticosa e più equilibrata delle mie necessità. A parte questi interventi di tipo prevalentemente tecnico, posso dire tranquillamente che la mia esperienza liceale è stata vissuta nella più assoluta normalità, questo grazie certo agli interventi e ausili che ho avuto modo di descrivere, ma soprattutto grazie all'ambiente, alla preparazione dei professori, all'ottimo rapporto instaurato con i compagni e le compagne, e conseguentemente alla mia serenità di fondo nell'affrontare passaggi anche, a volte, alquanto difficili. Pure in questi anni, come nel periodo delle scuole medie, ho passato lunghi momenti di malattia e disagio, che comportarono intervalli anche molto prolungati in cui non frequentavo la scuola. In queste circostanze, oltre all'indispensabile sostegno dei miei compagni di classe — sia umano sia riguardo lo studio (compiti, programma, appunti...) — vi è stata sempre una grandissima disponibilità da parte del personale docente, il quale, senza mai fare alcun tipo di favoritismo, mi dava il tempo di recuperare e mi metteva nelle condizioni di essere sempre alla pari con il resto della classe. L’affiancare alla doverosa inflessibilità riguardo i livelli scolastici da raggiungere, la comprensione di difficoltà oggettive e le disponibilità nell'affrontarle insieme e nel fare il possibile affinché riuscissi a superarle, è stata l’intelligente formula adottata dai miei professori che mi ha aiutato in modo decisivo a costruire la mia dimensione scolastica, culturale e intellettuale, quindi gran parte della mia personalità.

L'esperienza universitaria è ancora un capitolo a parte, visto che in questa situazione decisi di uscire dalla famiglia e di trasferirmi in un'altra città a studiare, vivendo in appartamenti con altri studenti. Eppure anche in questo caso è necessario, seppur per sommi capi, accennare a quel periodo, poiché oltre ad essere stato sommamente positivo e fecondo, è anche significativo di come si possa affrontare un'esperienza così complessa e per molti aspetti difficoltosa, in maniera serena e fruttuosa, grazie anche ad un'organizzazione capillare e ad una rete d'assistenza molto bene programmata. Durante il giorno avevo a disposizione tre assistenti che, a rotazione, coprivano le ore che andavano dalle otto del mattino fino alle una di notte; questi provvedevano ad ogni mia necessità, dal portarmi all'università a prepararmi i pasti, dall'accompagnarmi a far la spesa, o al cinema, o ad un concerto, sino al sistemarmi a letto la sera. Da quel momento in casa c'era sempre qualcuno dei miei compagni d'appartamento, che il più delle volte erano già miei amici, mentre altre volte lo divenivano nella coabitazione; in questo modo ero coperto praticamente 24 ore su 24. La facoltà di filosofia non presentava particolari barriera architettoniche, quindi la sua frequentazione era piuttosto agevole. Per il resto il mio iter universitario è stato quello di una qualsiasi studentessa o studente: lezioni, appunti, studio, sessioni di esami; così il mio rapporto con i professori, che avevano davanti una persona autonoma ed indipendente. Anche in questo caso il dato più importante, e credo anche più interessante per chi mi legge, è quello dell'acquisto totale di “normalità”, del sostanziale superamento del proprio handicap — inteso come difficoltà o impedimento oggettivo ad affrontare e vivere determinate situazioni a causa delle barriere d'ordine architettonico, fisico, ma anche culturale —; superamento dell'handicap perseguito con successo almeno nell'ambito della Scuola, dell'Università, dell'accesso e del diritto allo studio.

In conclusione mi pare utile mettere a fuoco quelle che sono, a parer mio, le condizioni irrinunciabili affinché avvenga una reale inclusione di persone con disabilità nelle strutture scolastiche e quelle che ritengo essere, alla luce della mia esperienza, le caratteristiche principali che dovrebbe possedere un insegnante per rapportarsi a ragazze o ragazzi con queste problematiche.

Innanzitutto è assolutamente necessario che la persona sia messa in grado di svolgere le attività scolastiche col massimo agio: presidi, ausili, testi in braille, computer; abbattimento di ogni barriera architettonica (quindi scivoli, ascensori, montacarichi…); approntare bagni adeguati, mense accessibili. Insomma, tecnicamente bisogna mettere ciascuno in grado di frequentare gli spazi comuni in modo da sentirsi accolto e non estraneo; fornirgli tutto l’occorrente affinché la disabilità non costituisca, nei limiti del possibile, un peso eccessivo per affrontare lo studio alla stregua di tutti gli altri. Queste, a ben guardare, sono pre-condizioni, connotati, vorrei dire, di civiltà minima.

Per quanto riguarda, invece, gli insegnanti, la preparazione richiesta, l’atteggiamento che si ritiene dovrebbero assumere, credo che il mio parere si possa desumere da quanto ho scritto in precedenza, quindi mi limiterò a riassumere. Considerare i ragazzi e le ragazze con disabilità come i loro compagni è il primo passo per riconoscerne la pari dignità e permettere anche alle altre ragazzine e ragazzini di considerarli, senza riserve, “dei loro”, del tutto uguali, quindi né da discriminare, né da compatire. L’insegnante per primo dovrebbe evitare qualsiasi forma di discriminazione; anche, come si accennava, quelle “al contrario”, che, magari favorendo un elemento del gruppo, portano confusione se non malanimo nei suoi confronti da parte degli altri studenti e lo mettono, prima di tutto psicologicamente, in condizione di “minorità”. Dire che bisogna trattare la persona con disabilità come tutti gli altri non significa che non bisogna tener conto di possibilità diverse, di limiti (ora mi riferisco in particolar modo all’handicap mentale), di esigenze differenti. In realtà, credo che ciò andrebbe attuato nei confronti di ogni persona, ma qui il discorso diventerebbe troppo ampio, esulando dal nostro intento. Tempi, modalità, ritmi possono essere, inevitabilmente, sfalsati per una persona disabile (come anche per una “sana”…); si tratta di trovare i metodi giusti per raggiungere (e pretendere) gli stessi risultati e traguardi. Ritengo inoltre che, soprattutto rispetto agli anni cruciali della crescita, l’educatore debba essere il più possibile attento alle dinamiche relazionali che si instaurano all’interno della classe, tra la persona disabile ed i suoi compagni. Credo che la professoressa e il professore (per quanto è a loro possibile, ben sapendo che non è una competenza specifica ad essi richiesta) dovrebbe mediare, o facilitare, taluni rapporti. Per questo ritengo importante avvalersi di altre figure (psicologi, assistenti sociali ...), senza che questi pretendano di gestire i rapporti tra la persona disabile e gli altri.

Il rispetto dei principi qui esposti non dà, magicamente, la garanzia del pieno successo, tuttavia pone delle salde basi.

A ben guardare, per esperienza, vivere e agire l’inclusione, il rispetto e la convivenza può essere più facile e naturale di quanto non paia a scriverlo e a leggerlo.

Fausto Concer

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Ehrman e i Vangeli, ciò che "Gesù non ha detto..." di Zenone Sovilla

«E se Dio non l'avesse detto ?». Bart D. Ehrman confessa di avere sempre questa reazione di fronte alle prese di posizione rigide di chi giustifica comportamenti e giudizi richiamandosi alle sacre

scritture («l'ha detto Dio, io ci credo, e questo è quanto»). Ehrman, storico del Nuovo Testamento e direttore del dipartimento di studi religiosi dell'Università del North Carolina, è esperto di critica testuale, vale a dire la scienza che ha l'obiettivo di risalire alle parole originali sulla base di manoscritti nei quali esse sono state modificate.

Lo studioso riporta il risultato di trent'anni di ricerche nel volume «Gesù non l'ha detto. Millecinquecento anni di errori e manipolazioni nella traduzione dei Vangeli» (Mondadori, 273 pagine, 17,50 euro), in libreria da questa settimana.

«Non soltanto - scrive Ehrman - non abbiamo gli originali, ma non siamo neppure in possesso delle loro prime copie, Anzi, non abbiamo nemmeno le copie delle copie, e neppure le copie delle copie delle copie. Quello che possediamo sono copie eseguite più tardi, molto più tardi. Nella maggior parte dei casi, diversi secoli dopo. E le copie sono tutte differenti una dall'altra, in migliaia di punti».

Il cattedratico sottolinea l'incertezza della ricostruzione di parte del testo: «Che senso ha sostenere che Dio ha ispirato ogni singola parola delle sacre scritture dal momento che noi non le abbiamo?». E ne trae le conseguenze: «È un po' difficile conoscere il significato delle parole della Bibbia, se non sappiamo neppure quali esse siano!». I frutti dell'analisi portano Ehrman a «un ripensamento radicale» della sua interpretazione di che cosa sia la Bibbia. Ritenuta in precedenza «parola infallibile e pienamente ispirata di Dio», la Scrittura inizia ad assumere per lo studioso i contorni di «un libro molto umano», sia pure frutto dell'opera di persone che si sentivano ispirate dal Padreterno.

Il professore americano a questo punto arriva al nucleo della faccenda: «Proprio come degli scribi umani avevano copiato e modificato i testi delle sacre scritture, così, in origine, autori umani li

avevano scritti. Si trattava di un libro umano dall'inizio alla fine. Era stato scritto da diversi autori in diverse epoche e in diversi luoghi per rispondere a esigenze diverse». Insomma, dietro ai testi ci sono le soggettività degli autori, le loro vite e le loro opinioni, le loro teologie e le loro aspirazioni. «Ecco perché erano uno diverso dall'altro», osserva Ehrman. In altre parole, appunto, «Marco non diceva la stessa cosa che diceva Luca perché non intendeva la stessa cosa di Luca» e così via. Ognuno di loro, dunque, deve essere letto «per ciò che ha da dire». Nelle pagine del suo saggio, di taglio divulgativo e pubblicato negli Stati Uniti due anni fa, l'autore descrive il percorso che lo ha condotto a questa svolta nel rapporto con la Bibbia, una convinzione cui spiega di dedicarsi «anima e corpo».

Ehrman sottolinea che molti cristiani hanno sempre rifiutato un'interpretazione letterale della Bibbia come «programma infallibile» per la fede e la vita; tuttavia, ricorda che tante altre persone vivono invece in questo modo le sacre scritture e ne traggono risposte cui adeguare i propri comportamenti sociali. «E se il libro che si ritiene riveli le parole di Dio - scrive lo studioso - contenesse invece le parole di altri esseri umani? E se la Bibbia non desse una risposta sicura agli interrogativi dell'era moderna come aborto, diritti delle donne, diritti degli omosessuali, supremazia religiosa, democrazia all'occidentale e affini? E se dovessimo riuscire a capire come vivere e cosa credere per conto nostro, senza erigere le sacre scritture a falso idolo o a oracolo che offre una linea diretta di comunicazione con l'Onnipotente?».

Domande vibranti che sembrano evocare le immagini del film «Centochiodi» di Ermanno Olmi, un'invettiva contro la fissità della parola scritta. L'autore di «Gesù non l'ha mai detto» confessa che, pur avendo via via cambiato i suoi sentieri teologici, continua a riconoscere il valore della Bibbia e dei «molti e diversi messaggi che essa contiene», così come apprezza gli altri scritti dei primi cristiani. «Tutti questi autori - scrive Ehrman nell'introduzione - hanno preziosi insegnamenti da offrirci. È importante sapere quali furono le loro parole per capire che cosa avevano da dirci e poi giudicare da soli che cosa pensare e come vivere alla luce di tali insegnamenti».

Le cose non dette sul referendum: l’altra faccia dei Sindacati alleati del Governo e non dei lavoratori

Ho inviato questa lettera ai compagni della Fiom per denunciare un gesto di inciviltà, sintomo forse della stessa crisi di credibilità dei tre principali sindacati, che di fatto appoggiano in modo spudorato il Governo in carica e godono dei favori del media di regime. I fatti qui esposti si commentano da sé.

Da: Newsletter Ecumenici [mailto:ecumenici@tiscali.it]
Inviato: mercoledì 10 ottobre 2007 17.21
A: 'sindacale@fiom.cgil.it'
Oggetto: Segnalazione di inciviltà di un funzionario CGIL durante il referendum
Cari compagni,

debbo segnalare con non poco sgomento e imbarazzo quanto occorso oggi al sottoscritto Maurizio Benazzi (ma non solo), iscritto alla CGIL di Legnano (MI), alle ore 13.30 allorquando mi sono recato a votare per esercitare il diritto di voto sul referendum indetto dalle organizzazioni sindacali presso la CGIL di via Calatafimini nella mia città.

Vi invito a segnalarlo agli organi di vigilanza e disciplina preposti.

Più precisamente sapendo dai media che le urne si chiudevano alle ore 14 mi sono recato prima (alle ore 13.15) nella sede CGIL di via Volturno ma constatavo che gli uffici erano chiusi e pertanto ho intuito che la sede del seggio non poteva che essere in via Calatafimini. Arrivato lì ho incontrato un altro iscritto che mi diceva di aver suonato il campanello ma che nessuno rispondeva. Anzi mi sottolineava che altre persone - visto la mancata risposta - avevano poi deciso di non votare, allontanandosi dal seggio.

La cosa assurda è che dopo 5 minuti un funzionario ci aprì dall’interno la porta pesante in metallo e alla protesta dell’ iscritto, che ho conosciuto occasionalmente in quella circostanza e che desiderava esercitare il diritto di voto, senza spiegazioni e possibilità di replica sbatteva la porta senza nemmeno salutare.

Increduli abbiamo atteso ancora fino alle ore 13.45 quando si è presentato lo scrutatore che ci consentiva di votare sbottando “la gente si doveva svegliare prima”…

Ho votato e subito dopo di me anche l’altra persona (che compare dopo di me nel registro dei votanti).

Mi sono permesso solo di fare presente che anche i volontari hanno ovviamente il diritto di pranzare ma che i funzionari di un sindacato non hanno diritto di sbattere porte in facce a nessuno e al limite si poteva semmai organizzare un turno di presenza. Preciso che personalmente non avevo fatto nessuna rimostranza. Di nessun genere.

Il funzionario - di cui ignoro il nome - comunque anche se era in pausa pranzo, poteva semplicemente farci accomodare in attesa della persona preposta al referendum. I soldi che percepisce gli vengono dati dagli iscritti.

Cordialmente

Maurizio Benazzi

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