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04 Marzo, 2005
Coldiretti: Biogas, un’opportunità per l’impresa contro le speculazioni
La produzione di biogas per la sua destinazione energetica rappresenta certamente una grande opportunità per le imprese zootecniche

Coldiretti: Biogas, un’opportunità per l’impresa contro le speculazioni
Quale approfondito contributo al dibattito sul tema “biogas”, si invia l’intervento proposto da Coldiretti a livello nazionale, con specifici riferimenti alla situazione nella nostra provincia, resa nota da Coldiretti Cremona. L’intervento è tratto da “Il Punto Coldiretti”, il giornale o nline delle imprese del sistema agroalimentare (www.ilpuntocoldiretti.it).
La produzione di biogas per la sua destinazione energetica rappresenta certamente una grande opportunità per le imprese zootecniche. Le notevoli potenzialità produttive di questo biocombustibile da parte del mondo agricolo sono confermate anche da un’analisi di scenario riferito al 2020, promossa da Coldiretti, che stima un contributo energetico dei reflui e dei residui per la produzione di biogas pari a 0,29 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) l’anno, mentre la conversione energetica genera elettricità pari a 2.615 GWh (giga watt orari) l’anno (scenario low) oppure 3.500 GWh/anno (scenario high).
Il contributo in energia termica è stimato in 0,07 Mtep, mentre le emissioni evitate sarebbero pari a 0,70 MtCO2/anno. Una cosa è certa: sia il trend dei dati attuali, sia le potenzialità evidenziate dallo scenario elaborato da Coldiretti, giustificano le aspettative rispetto ad una disciplina dedicata al comparto del biogas. Sarebbe quanto mai opportuna, infatti, la predisposizione di un sistema di incentivazione specifico, attraverso la stesura di un apposito decreto ministeriale che, tra l’altro, attui una differenziazione degli incentivi in funzione della taglia e della tipologia degli impianti, al fine di riconoscere un’equa redditività agli investimenti, al variare del costo della tecnologia, ma, soprattutto, assicuri un sostegno stabile alle filiere più efficienti dal punto di vista ambientale ed energetico, ostacolando, invece, gli interventi di tipo speculativo.
Questa necessità appare particolarmente evidente nello scenario che si sta delineando in alcune aree del territorio nazionale, caratterizzato dalla diffusione di numerosi impianti di grossa taglia sempre meno collegati all’attività agricola.
Anche in occasione della manifestazione Greenenergy Expo 2010, nell’ambito della quale si è svolto un convegno organizzato da Legambiente in cui è stato presentato uno specifico disegno di legge per la promozione del biometano, Coldiretti ha ribadito che il focus della filiera del biogas non dovrebbe essere rappresentato solo dal dimensionamento di impianti e di filiere in funzione della produzione di energia e della redditività economica, bensì deve essere costituito dall’azienda zootecnica, quale soggetto centrale per la produzione del biocombustibile.
Il legame tra produzione di biogas e attività zootecniche deve considerarsi imprescindibile per numerose ragioni. Sostenere la produzione di biogas dai reflui zootecnici, infatti, è decisamente virtuoso sotto il profilo energetico ed ambientale, specie in quelle aree già sottoposte a particolare attenzione (zone di ricarica delle falde, bacini scolanti in laguna, ecc.) nelle quali è consistente la presenza di allevamenti. E’ noto come il biogas, in quanto processo e tecnica energetica, sia nato e si sia sviluppato partendo dall’impiego di matrici zootecniche. L’azienda zootecnica, infatti, con l’adozione della sezione biogas completa un ciclo produttivo rendendolo decisamente più favorevole sotto il profilo ambientale, riducendo l’impatto dovuto alla presenza di sostanze inquinanti (sostanze organiche e nutrienti), le emissioni di metano in atmosfera e le emissioni di sostanze odorigene. Inoltre, i reflui zootecnici utilizzabili per la produzione del biogas possono essere impiegati tal quale per la fermentazione poiché hanno tenori di umidità molto elevati ed eventualmente possono essere utilizzati in codigestione con altri materiali organici.
Ciò è in linea con i consolidati ed affermati processi tecnologici degli ultimi decenni, tesi proprio a trasferire gli inquinanti dalla fase liquida (in questo caso costituita dai reflui zootecnici) alla fase solida (ad esempio la frazione solida separata meccanicamente al termine del processo fermentativo = digestato). I menzionati benefici non sussistono, invece, nei casi che stanno costituendo la principale tendenza attuale, e cioè quella di una diffusione sul territorio di impianti aventi taglie attorno ad 1 MW elettrico.
Questa tipologia di dimensionamento è caratterizzata, infatti, dall’utilizzo pressoché esclusivo, come materia prima, di biomasse vegetali da colture dedicate (in primis cereali insilati). In questo contesto si procede, quindi, all’utilizzo di sostanze solide che, al termine del processo, si ritrovano in un mezzo liquido. Se sotto il profilo produttivo (rendimento in biogas) questa scelta è sicuramente efficace, occorre ricordare, tuttavia, che con questa prassi si complicano notevolmente gli aspetti ambientali, connessi allo smaltimento del residuo digerito.
Per queste e numerose altre ragioni appare allora essenziale considerare le caratteristiche strutturali e dimensionali delle imprese zootecniche della zona (in Italia sono prevalentemente di medie dimensioni, tranne in alcune specifiche aree) per dimensionare gli impianti di produzione del biogas. Sempre dal punto di vista ambientale ed energetico, preme ricordare, inoltre, che in questa tipologia di aziende è più agevole gestire i reflui, applicare al suolo i materiali residui ed utilizzare l’energia termica ottenuta dalla conversione energetica del biogas (cogenerazione).
Ecco allora che, nel confermare l’assunto che il biogas rappresenta una filiera matura e di fondamentale importanza per le imprese zootecniche italiane, Coldiretti ha sottolineato la necessità di risolvere i problemi legati alla sostenibilità di quella tipologia di impianti che, avendo ben poco di “agricolo” e seguendo esclusivamente la logica dell’economia di scala e della massimizzazione del profitto, sfuggono ad ogni regola di pianificazione territoriale e risultano inefficienti sia dal punto di vista energetico che ambientale, invalidando, tra l’altro, gli investimenti che le imprese agricole stanno sostenendo per valorizzare le loro produzioni attraverso una forte identificazione con il territorio di appartenenza.
Gli impianti di biogas di grossa taglia (ma lo stesso dicasi dei grandi impianti fotovoltaici su suolo e del grande eolico), che il più delle volte risultano poco o nulla collegati al tessuto agro-zootecnico territoriale, rischiano infatti di stravolgere la finalità principale della produzione dell’energia rinnovabile, e cioè la sostenibilità ambientale. Quando si assiste, infatti, ad una massiccia proliferazione sul territorio di impianti di biogas di grande potenza (scelta dettata dalle condizioni particolarmente favorevoli del sistema incentivante attualmente in vigore) si presume che questi non possano essere alimentati esclusivamente con i residui zootecnici (o con limitate integrazioni di biomassa residuale agricola), configurandosi, invece, come impianti di tipo industriale, alimentati quasi esclusivamente con biomasse da colture dedicate (ad esempio silomais) e comunque orientati alla massimizzazione della resa energetica senza alcuna attenzione alle ripercussioni sugli ordinamenti colturali della zona e sulle risorse (prima tra tutte quella idrica).
Anche dal punto di vista ambientale, infatti, un conto è integrare con il mais un impianto dimensionato sulla base delle deiezioni zootecniche di origine locale disponibili, e un conto è progettare un impianto sapendo sin dall’inizio che sarà alimentato esclusivamente con mais appositamente coltivato. Il risultato è che il boom dei grandi impianti di biogas per la produzione di energia elettrica, grazie all’uso di cereali, sta creando non pochi problemi al territorio. In particolare, nella provincia di Cremona dove, fra autorizzati e in attività, si concentra quasi il 45 per cento degli impianti di biogas lombardi, l’avanzata di grandi impianti industriali rispetto a quelli medio piccoli che affiancano l’attività agricola, sta generando una bolla speculativa sugli affitti dei terreni destinati al mais e ad altri cereali usati come carburante energetico piuttosto che come foraggio per gli animali, facendo schizzare i valori da 500 euro a oltre 1.000 euro all’ettaro ed interferendo anche sui costi di produzione del latte.
Si giustifica, allora, la richiesta della Coldiretti Lombardia nei confronti di una verifica e di una maggiore attenzione, da parte della Regione, negli iter autorizzativi dei progetti, in modo che venga dimostrata la sostenibilità ambientale anche dal punto di vista del consumo di suolo e dell’integrazione dell’attività agricola (si stima che solo nella provincia di Cremona, dove si trova la prima linea della bolla speculativa, il biogas monopolizzi quasi 25 mila ettari di territorio). E’ chiaro, allora, che la principale causa di questo problema risiede nell’attuale sistema di incentivazione e che una specifica modulazione della tariffa incentivante collegata al biogas costituisca oggi un passaggio obbligatorio.
L’introduzione di specifici bonus ambientali e/o tecnologici permetterebbe, infatti, di differenziare opportunamente la tipologia degli impianti da sviluppare sul territorio, premiando, ad esempio, l’utilizzo del calore, l’accorciamento della filiera o le aziende agricole che garantiscono una quota di autoproduzione o che introducono tecnologie complementari a quelle energetiche, come, ad esempio, quelle per l’abbattimento dell’azoto nei reflui zootecnici. Il completamento della regolamentazione del settore attraverso un apposito decreto, oltre a differenziare le tariffe incentivanti, avrebbe senso anche nell’ottica della rimozione delle numerose barriere tecniche, normative e burocratiche che, sino ad ora, hanno limitato la diffusione di questa tecnologia in ambito agricolo. Resta infatti urgente un’armonizzazione del quadro normativo e autorizzativo per risolvere le annose questioni legate alla necessità di esclusione, dal campo di applicazione della normativa in materia di rifiuti, dei prodotti interessati dai processi di digestione anaerobica.

 


       


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