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 Sociale in Europa

04 Marzo, 2005
Chi paga i tagli nell’Ue? (di Franco Chittolina)
Da sempre le manovre finanziarie sono difficili, lo sono di più in una stagione di casse pubbliche non solo vuote ma anche indebitate fino al collo, come in Italia.

Chi paga i tagli nell’Ue? (di Franco Chittolina)
Da sempre le manovre finanziarie sono difficili, lo sono di più in una stagione di casse pubbliche non solo vuote ma anche indebitate fino al collo, come in Italia. Peggio ancora in questo momento stanno la Grecia, la Spagna, il Portogallo e l’Irlanda, ma anche negli altri Paesi non si scherza e così tutta l’Europa si vede costretta a tirare la cinghia e non per qualche giorno soltanto.

Qualcuno dei nostri politici si è consolato con il proverbio: «Mal comune, mezzo gaudio» e ci ha raccontato che, sì la disoccupazione da noi è alta, ma altrove è peggio (salvo che altrove le statistiche non sempre taroccano i dati, contando i cassintegrati tra chi è al lavoro), che il nostro deficit sul Prodotto interno lordo (Pil) è fuori misura ma meno che in altri Paesi. Solo del debito pubblico il nostro governo non ama parlare: è praticamente il più alto d’Europa, viaggia attorno al 116% sul Pil (vent’anni fa ci eravamo impegnati a farlo scendere verso il 60%) e continua a crescere. E non sono solo percentuali astratte degli economisti: questo debito è costato l’anno scorso all’Italia 77 miliardi di euro, più o meno l’equivalente di oltre tre finanziarie «lacrime e sangue», come quella appena presentata dal governo italiano. Tutti però hanno tentato di far ricadere la responsabilità sull’Europa. Quante volte abbiamo sentito il vecchio ritornello: «È l’Europa che ce lo chiede», dimenticando che a quelle decisioni dell’Europa concorre, come è giusto, anche il nostro governo? E qui, su quello che l’Europa fa o non fa, è bene fare chiarezza anche perché in quello che resta della nostra fragile democrazia è doveroso individuare le responsabilità per chiederne conto a chi è chiamato ad esercitarle per noi.

L’Europa ha ricevuto dai Trattati il compito di governare, con la sua Banca centrale (Bce), la stabilità dell’euro nei sedici Paesi che hanno adottato la moneta unica, ma ben poco può fare e fa per attivare la leva della crescita. Questo potrebbe avvenire se all’Ue fosse affidato il governo dell’economia con tanto di leva fiscale e di politica del bilancio. Nulla di tutto questo hanno fatto i Trattati che, di riforma in riforma, hanno mancato questo passaggio difficile in un’Europa di nazioni che si pretendono sovrane e che dovrebbero rivedere a fondo il loro assetto democratico e quello dell’Ue per dotarsi di un governo comune dell’economia. Si assiste così a una serie di interventi di emergenza, spesso non coordinati tra di loro, tali da non rassicurare i mercati e, soprattutto, inadeguati a rilanciare la crescita.

È la cronaca di questi giorni: si fanno attendere la creazione di un Fondo di stabilizzazione dell’euro invocato da più parti, Usa in testa, una nuova più severa regolamentazione dei mercati finanziari e un inquadramento di quelle agenzie di rating che con le loro votazioni sull’affidabilità economica dei Paesi hanno dato una mano non indifferente alla speculazione. Al G20 di fine giugno, l’Ue rischia di presentarsi inadempiente rispetto agli impegni presi.

Nell’attesa di misure condivise, ognuno se ne va per conto suo – e la Germania lo ha fatto ripetutamente – agitando la bandiera della riduzione rapida dei deficit pubblici, messa in conto alla crudele Europa. Intanto però se, tutti insieme, i Paesi dell’euro si precipitano a ridurre il deficit a ritmo accelerato non restano attivi volani di crescita e il rischio – segnalato da molti economisti e dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil-Ilo) – è che si ripiombi in un’altra fase recessiva con pesanti ricadute sull’occupazione.

per leggere tutto l'articolo clicca qui:
- http://www.euronote.it/2010/06/tagli_ue  

 


       


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