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04 Marzo, 2005
Il patto tra Veltroni e di Pietro è risolto di Pierluigi Mantini
Fu con le dimissioni del governo D’Alema, dopo il risultato delle elezioni regionali del 2000 negativo per l’Ulivo, che si consumò il primo significativo strappo di Di Pietro con il centrosinistra.

IL PATTO TRA VELTRONI E DI PIETRO E’ RISOLTO IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

di Pierluigi Mantini

Fu con le dimissioni del governo D’Alema, dopo il risultato delle elezioni regionali del 2000 negativo per l’Ulivo, che si consumò il primo significativo strappo di Di Pietro con il centrosinistra.

Fino ad allora Antonio Di Pietro aveva svolto, senza infamia e senza lode ma con molto impegno, la sua prima esperienza di titolare del dicastero dei lavori pubblici nel primo governo Prodi, si era ben distinto nelle campagne referendarie per il maggioritario e il bipolarismo e aveva coerentemente guidato il Movimento Italia dei Valori, da lui fondato a San Sepolcro nel 1998, alla confluenza con i Democratici, il partito dell’Asinello, con Parisi e Rutelli, mentre Prodi era alla presidenza della Commissione Europea.

Ma quando si trattò di votare per Giuliano Amato, come nuovo presidente del consiglio del residuo scampolo della XIII legislatura, Di Pietro si impuntò, non ne volle sapere.

Fui tra quelli che tentarono di spendere argomenti, di convincerlo che, qualunque fossero le obiezioni, non si poteva negare la fiducia ad Amato, non si poteva uscire dal sostegno al campo del centrosinistra dopo aver con forza sostenuto le ragioni del bipolarismo.

Tutto fu vano. L’esecutivo de “i Democratici” assunse allora una delibera di “presa d’atto” dell’estraneità dell’ex PM alle stesse ragioni fondative del movimento dell’Asinello.

Quel testo mi fu inviato, per condividerne la decisione, mentre ero in un letto di ospedale, a Milano, per una dura broncopolmonite.

Ero vicino all’impegno di Di Pietro e avrei potuto trincerarmi dietro “un’assenza giustificata”. Firmai invece quella delibera, che a lungo Di Pietro considerò un ignobile “atto di espulsione”, dal mio letto di ospedale, tra una flebo e l’altra, con dispiacere ma con senso di responsabilità.

Mi sono permesso questo ricordo personale, di una vicenda politica pubblica, perchè resto convinto che fu quello il momento della maturazione di una svolta politica che ha nel tempo i suoi coerenti effetti.

In quella decisione non c’era solo la distanza da Giuliano Amato, reo di essere stato consigliere di Bettino Craxi, e la conferma della cultura giustizialista del sospetto come categoria politica.

C’era anche, a mio avviso, la convinzione di Di Pietro che dopo il fallimento del quorum, per poche decine di migliaia di voti, del referendum del 1999 sull’abolizione della quota proporzionale del Mattarellum, ogni tentativo di riforma del sistema politico in senso maggioritario e autenticamente bipolare fosse ormai vano e che dunque occorreva “mettersi in proprio”.

E’ ciò che fece nelle elezioni del 2001, sottraendo voti decisivi alla “rimonta” di Rutelli, e poi nelle successive elezioni fino all’occasione offertagli su un piatto d’argento da Veltroni, con il “patto di apparentamento”.

Tra “patti della crostata” e altro, la cronaca politica italiana ha conosciuto numerosi casi di drammatiche decisioni accompagnate da occasioni apparentemente frivole.

Ma certo è che mai, come in questa occasione, una patto politico fu più sgangherato e malriposto.

Imboccata la via dell’autosufficienza e della coraggiosa e certo crudele distruzione delle formazioni minori del centrosinistra, il PD ha offerto un salvacondotto al solo ex PM.

Molti si sono interrogati sul perchè, ma io da tempo continuo a chiedermi il “per come”.

Possibile che non c’è neanche un pezzo di carta, firmato, da mostrare agli elettori italiani?

Ora che si è in causa un documento farebbe comodo.

Pare che Umberto Bossi sia abituato ad affidare alla cassaforte del notaio i suoi patti con Berlusconi.

E Veltroni e l’ex magistrato cosa hanno concordato, dove è il documento per consentire di individuare le responsabilità?

Se non ci vuole la forma scritta ad substantiam sarà consentita la forma scritta ad probationem.

Sono i fondamenti del diritto civile ma la politica li ignora.

A questo punto credo che il contratto tra Veltroni e Di Pietro sia da ritenersi sciolto, non solo per il vizio di forma, ma anche, i fatti sono provati, per originario vizio della volontà (di Di Pietro).

Così resta deciso, in nome del popolo italiano.

 

[N.B. Per il ricorso in appello si prega di esibire il documento].

 


       


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