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 Politica

04 Marzo, 2005
NEL TESTAMENTO POLITICO DI BERLUSCONI DOVREBBE ESSERCI CASINI
Si può comprendere che Berlusconi non accetti di uscire dalla crisi della sua maggioranza di governo sacrificando se stesso. Sarebbe un prezzo troppo alto

NEL TESTAMENTO POLITICO DI BERLUSCONI DOVREBBE ESSERCI CASINI
di Pierluigi Mantini
Si può comprendere che Berlusconi non accetti di uscire dalla crisi della
sua maggioranza di governo sacrificando se stesso. Sarebbe un prezzo troppo
alto.

Potrebbe però tenere presente l'esperienza di Winston Churchill che, nella
sua fase calante, preferì avere ragione piuttosto che essere coerente con il
suo passato.

Gli insulti che Berlusconi ha riservato alla coppia Fini-Casini ("vecchi",
"maneggioni", "seconde file" .) possono essere il frutto del risentimento
personale nei confronti di Fini ma non sono comprensibili nei riguardi di
Casini. I rapporti personali tra i due sono notoriamente buoni e la scelta
dell'UDC di non sciogliersi nel partito del "predellino" è stata leale e
motivata già nel 2008. Casini ha condotto un'opposizione repubblicana non
lesinando critiche e voti contrari al governo nella maggioranza dei casi ma
neppure il sostegno a provvedimenti ritenuti utili, dal legittimo
impedimento all'ultimo si al decreto Maroni sulla sicurezza.

Formigoni sostiene, con maggior vigore nei giorni recenti, la necessità di
riunire cattolici e riformisti di varie forze in un'unica sezione italiana
del PPE, con un invito esplicito all'UDC. Come lui la pensano diversi
dirigenti di primo piano e se oggi si facesse un'inchiesta tra i
parlamentari del PDL ponendo loro la fatidica domanda "come si esce dalla
crisi?", la risposta largamente maggioritaria sarebbe la seguente: "con un
patto con l'UDC per il governo del presente e con Casini leader del
centrodestra per il domani".

Agli occhi di molti Casini avrebbe già questi requisiti, soprattutto dopo il
lacerante strappo di Gianfranco Fini. Ma se ora fosse possibile un patto con
l'UDC che risolvesse la crisi di governo e salvasse la legislatura, i meriti
di Casini salirebbero alle stelle. La Lega stessa dovrebbe "abbozzare"
poiché i rischi di una rottura traumatica della legislatura e del voto
anticipato o, peggio, di una diversa soluzione di governo, sulla base delle
indicazioni del Capo dello Stato, sarebbero assai più seri dei privilegi
dell'egoismo padano.

Il vasto fronte del no alle elezioni anticipate sorriderebbe a questa
intesa. Il Vaticano ma anche le forze sociali e produttive del Paese
benedirebbero questa soluzione, in grado di garantire stabilità. Non sarebbe
un'operazione trasformistica ma un ampliamento dell'area di governo verso
più larghe e responsabili intese.

Ma, ecco il punto, ciò che ancora Berlusconi non è pronto a fare non è il
passo indietro dell'oggi (che sarebbe comprensibile) ma il passo in avanti
dell'impegno sul domani. È l'arcinoto tema dell' "eredità", del
"successore", del "testamento politico di Berlusconi", un testamento che
come per tutti andrebbe fatto per tempo ma che l'interessato non sembra in
grado di fare o di voler fare.

La soluzione della crisi potrebbe essere a portata di mano con una seria
intesa con Casini che garantisca ora una nuova agenda di governo e una
squadra più forte e con un impegno vero, un "testamento olografo" appunto,
che affidi a Casini la guida della "sezione italiana del PPE", la leadership
del futuro.

A ben vedere ciò che Berlusconi non riesce a decidere non è il futuro del
suo governo e della legislatura, ma il suo futuro personale oltre la
legislatura. Vuole governare ora, poi vuole essere eletto al Quirinale e non
si fida di nessuno. È diventato un autocrate, non concepisce l' "altro" in
politica, anzi non sopporta la politica. Non vuole indicare l' "erede", il
"successore", forse si sente troppo giovane. E pensa che, anche con il
"terzo polo", può vincere lo stesso almeno alla Camera, che è il collegio
fondamentale per l'elezione del Capo dello Stato. Ma sottovaluta che i
numeri, nei sondaggi, sono solo di poco a lui favorevoli. Il Paese è stanco
e sfiduciato e Casini potrebbe essere tentato di guidare una coalizione di
centro-sinistra, facendo la differenza.

Berlusconi è da sedici anni il simbolo del bipolarismo duro e divisivo che,
con lui in campo, sembra impossibile superare. Non si può imporre la resa
incondizionata ad un comandante che, per quanto malconcio, è ancora a capo
di un forte esercito: occorre o un armistizio o la sconfitta in battaglia.
Ma se il primo fosse impossibile, lo scontro elettorale non potrebbe
svolgersi con le mani legate, solo al Senato, lasciando la Camera al duo
Bossi-Berlusconi o al trio Vendola-Bersani-Di Pietro.

Fini non ha scelte ma Casini è ambito da tutti.

Persino Vendola, cattolico diverso, se ne è convinto e Berlusconi farebbe
bene a non sfidare la sorte.

Pierluigi Mantini
Deputato UDC

 


       


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