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04 Marzo, 2005
Nicaragua: Ortega stretto tra Chàvez e Occidente
Mentre l'economia piega sempre di più una popolazione già povera, il presidente Ortega si allea...

Mentre l'economia piega sempre di più una popolazione già povera, il presidente Ortega si allea con il colonnello venezuelano, mentre Usa e Ue hanno sospeso gli aiuti
Nicaragua: Ortega stretto tra Chàvez e Occidente
Più di Cuba, che nel giro di pochi anni fece la sua rivoluzione e la consegnò alla storia, il Nicaragua fu a lungo il simbolo della lotta antimperialista, perché incarnava la vittima perfetta dell'interventismo statunitense in America latina, oltre ad essere uno dei terreni di scontro strategici della guerra fredda.
La Corte internazionale dell’Aja, con una sentenza destinata a diventare storica, accusò gli Stati Uniti di “terrorismo di Stato”, riconoscendo le responsabilità di Washington nella guerra civile che tra il 1973 e il 1990 mise in ginocchio il Paese.
Dopo vent’anni di occupazione militare statunitense, il Nicaragua fu guidato con il pugno di ferro dalla famiglia Somoza per più di quarant’anni, sempre secondo i dettami della Casa Bianca. Fino al 1979, quando i rivoluzionari, nel nome del nazionalista Augusto César Sandino, presero il potere (poi legittimato dalle elezioni del 1984).
Durò poco il sogno della giustizia sociale e dell’autodeterminazione: dopo i primi successi del governo sandinista (introduzione dell’istruzione pubblica e dei sindacati, istituzione delle cooperative agricole), l’interventismo a stelle e strisce fece piombare il Paese nella guerra civile. L’amministrazione Reagan non poteva tollerare una nazione a guida marxista-leninista all’interno del proprio emisfero d’influenza, per lo più appoggiata da Cuba e dall’Unione Sovietica, e così cominciò a finanziare gruppi armati (Contras) con l’obiettivo di rovesciare il governo sandinista.
In quegli anni, molti brigatisti rossi trovarono asilo proprio in Nicaragua, che ancora oggi non ha un trattato di estradizione con l’Italia. Tra loro anche Alessio Casimirri, unico ancora latitante tra i membri del commando che sequestrò Aldo Moro.
Nelle elezioni del 1990, in seguito agli accordi di pace, la leader antisandinista Violeta Chamorro fu eletta presidente della Repubblica. Avviò una riforma monetaria, la privatizzazione delle imprese statali e l’apertura all’economia di mercato, ridusse le forze armate e stipulò accordi di cooperazione internazionale.
Tuttavia la politica neoliberale, continuata anche dai suoi successori (Alemán e Bolaños), non ha risolto i problemi endemici del Nicaragua (6.767.00 abitanti nel 2009), che risulta ancora fortemente dipendente dalle importazioni e, come molti Paesi del subcontinente, dalle rimesse dei lavoratori espatriati (15% del Pil).
Nel novembre del 2006, l’elezione dell’ex guerrigliero sandinista Daniel Ortega alla Casa presidencial, infiammò gli entusiasmi delle forze progressiste di tutto il mondo, soprattutto di quelle che guardano con fiducia alla nuova sinistra latinoamericana.
Ma la politica di Ortega, nonostante il pragmatismo e qualche risultato nei primi anni, ha tradito le aspettative, anche tra alcuni celebri alleati come Victor Tirado Lopez, che fu uno dei comandanti della rivoluzione sandinista al fianco di Ortega, ed oggi è uno dei più agguerriti critici del governo.
Il primo atto del suo governo fu l’istituzione dei consejos nacionales, strutture ministeriali che hanno aumentato il potere decisionale dell’esecutivo. Per assicurarsi l’appoggio della Chiesa in un momento difficile, nel 2007 Ortega ha cancellato la legge sull’aborto, e nel 2008 ha pianificato con Hugo Chávez il Plan de hermandad revolucionaria (piano di fratellanza rivoluzionaria, ndr) che, se realizzato, potrebbe mettere seriamente a rischio la democrazia rappresentativa. Il piano prevede una modifica alla Costituzione per portare a tre i possibili mandati consecutivi del Presidente, oltre a una legislazione graduale per permettere il controllo dell’esecutivo sulla magistratura, sulle forze armate e sulla stampa.
Proprio l’alleanza con Chávez è al contempo croce e delizia per l’ex guerrigliero Ortega, perché se da un lato può contare sugli aiuti petroliferi e finanziari del colonnello (il Venezuela finanzia i programmi di sicurezza alimentare del Paese con 100 milioni di dollari all’anno); dall’altro ha il fiato sul collo degli investitori stranieri, che vedono sempre con più scetticismo la costruzione di un’economia centralizzata, e alcuni hanno già lasciato il Paese. Tuttavia va riconosciuto che Ortega, in linea con il suo programma, ha ripristinato un sistema educativo e sanitario gratuito e ha aumentato la spesa sociale: tra le novità il programma hambre cero (fame zero), che oltre ad aiuti alimentari prevede l’attivazione di un circuito economico, la creazione di cooperative agricole e l’assistenza alle categorie più deboli come donne e bambini.

per leggere tutto l'articolo clicca qui : http://www.mixamag.it/news/mondo/americhe/174

 


       


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